martedì 15 febbraio 2011

Polpettine di gambetto con crema di lenticchie rosse














Domenica mattina.
Colazione alle 7:30 nella sala immensa e semivuota. Oggi ho levato dal viso una barba che giace lì da circa una settimana. 'Come sempre' potrei dire ma in questa occasione mantengo gli occhiali per essere pur riconoscibile.
Gli occhi gentili e di confidenza di chi condivide con me per dovere quel rito mattutino da molto tempo restituiscono la mia immagine certamente più familiare in quella occasione, forse più aperta e disponibile rispetto alle colazioni trafelate consumate alle 6:30 negli altri giorni quando non tutti i tavoli sono apparecchiati e si ha la certezza che l'unica merce rara di scambio a quell'ora sono i sorrisi tra un latte&caffè tiepido e qualche fetta di pane ai cereali.
Chi si alza molto presto fisiologicamente e senza premeditazione risparmia energie e movimenti inutili e se anche il sorriso è dovuto per professione, quelli sinceri di comprensione e condivisione sono evidenti e fanno la differenza, cambiano la giornata e ci accompagnano anche a distanza di anni, come accade a me ora.
Non ricordo nemmeno i nomi che c'erano dietro ad alcuni di quei volti ma quelli oramai fanno parte del mio amichevole e confortevole seguito immaginario.
In Italia il termometro non va oltre i 6 gradi eppure dove sono io non avverto i rigori di un inverno intransigente. Ripercorro con la mente il tragitto studiato la sera precedente a cena con i pochi appunti buttati su un taccuino di fortuna.
Salgo in camera, lavo i denti poi di nuovo giù, attraversando i piani con un ascensore velocissimo non perchè lo sia veramente ma solo perchè con la mente sono altrove a ripercorrere routine famigliari che conosco a menadito e che rilasciano buon umore solamente a sapere che si ripeteranno in quell'istante. Magari non è così ma è sufficiente a distendere le labbra, unica concessione ad un lento sorriso esploso dentro.
La mattina è dedicata ad un mercato alimentare della capitale unico per colori, profumi ed odori. Pesce in gran quantità, ceste piene di frutta secca e fresca. Sguardi indolenti e passivi dietro ai banchi che contrastano il frenetico andirivieni al di quà dell'esposizione. Incrocio di mani, braccia che si affiancano a pescare nelle sporte, merce avariata accantonata, soldi stropicciati, sorrisi sdentati su visi disadorni e consumati, odore di alcool e spezie.
Poi la zona dei dolci.
Lokum marmorei colorati, baklave e lucenti mignon di kataifi, l'aria impregnata di succhi e sciroppi zuccherini, melomakarona sotto alzatine trasparenti di plastica graffiata ed opaca, halvas di consistenze ed aromi differenti distribuite con geometrica precisione come ad una fiera edile quando sono esposti differenti tipi di mattonato o piastrelle. La presenza del coltello ed i pistacchi con mandorle e noci nei ripieni restituiscono l'animo dolce di queste preparazioni cristalline dalla durezza visiva a volte quasi fastidiosa.
Compro ed un poco assaggio subito per capire quanto abbia realmente capito, intuito. Mangio con gli occhi ed ascolto con il gusto una tradizione che non mi appartiene. Gli eccessi di miele e zucchero colpiscono da subito ma certe realtà probabilmente necessitano di uno stordimento simile per velare ben altre amarezze sociali e culturali. Sviare i sensi su un ottovolante zuccherino ha un suo poco filosofico perchè ma io consapevolemente ci casco sempre.
In men che non si dica l'orologio grande di una piazza vicina segna le 12. Mi allontano dal mercato e prendo l'autobus che mi conduce al litorale, alla periferia di un mare cannibalizzato da un porto immenso, grande quanto una città. Dopo 50' circa sono arrivato al capolinea. Di fronte una striscia di lidi grigi che fanno da sfondo acustico ai rumori di fondo del porto.
Barche di pescatori arenate sulla battigia, poche taverne a delimitare la spiaggia che intuisco abbandonata anche nella migliore stagione. L'azzurro dell'acqua, del cielo e della bandiera nazionale sembra l'unico colore superstite in quella succursale del grigio.
Pranzo a base di pesce. Sono l'unico straniero nel locale, probabilmente lo sarei ovunque ma saper ordinare nella lingua del posto aiuta, dispensa benevolenza e forse qualche attenzione. Piatti senza pretese ma rusticamente ben fatti.
Dopo pranzo il caffè servito sulla panchina miramare antistante la taverna di legno, il conto pagato ed il liquore offerto. Non c'è nulla di turistico nel giro di chilometri e faccio fatica ad inquadrare (erroneamente) la spontaneità di certi gesti.
Al ritorno sono sul medesimo autobus. Alle 15:30 il sole dichiara l'ultima ora di luce attraverso i finestrini impiastricciati di polvere e ditate.
Sul pulmann malridotto e vecchissimo non c'è una sola persona che sia del paese dove mi trovo, siamo tutti stranieri, europei ed extraeuropei divisi solo dal mare. Quanto concilia il sonno quel rollio costante sulla parte di statale ben asfaltata o il frenetico balzellare su ammortizzatori andati da tempo nella periferia stradale vulcanica iniziale.
Alle 18:00 sono nuovamente in stanza con il mio sacchettino di dolci per la serata. Di li a breve chiamerò casa.
La mia Domenica insolita è trascorsa inesorabilmente.
Tornerò ancora molte altre volte in quella taverna e quando poi andrò via definitivamente da quel paese i proprietari mi regaleranno il gagliardetto della locale squadra di calcio che nella fattispecie vale almeno quanto una sporta di sorrisi di cuore impacchettati&donati ad un fratello minore del paese accanto con il quale condire-condividere le lente ore del dopo pranzo di Domeniche tutte uguali.
Oggi, quando nei giorni festivi vedo gli autobus della contro-ora abitati solo da stranieri, un pò mi ci rivedo e non posso che pensare a quante solitudini stanno viaggiando contemporaneamente su quelle quattro enormi ruote.


Passiamo ora alla ricetta.
Quando ho letto l'oggetto gastronomico della contesa per la disfida goliardica dell'MT Challenge al quale partecipo anche questo mese ho da subito pensato a qualche soluzione ad effetto. Non è tuttavia nella mia natura fare affidamento sulla scelta estetica o sull'ingrediente particolare ragion per cui ho preferito sottolineare l'aspetto che reputo più vero per questo piatto e cioè l'intrinseco carattere di recupero che le polpette incarnano, soprattutto nella cucina famigliare italiana. Sinonimo di ingegno gastronomico la polpetta è solitamente la convergenza golosa degli avanzi edibili di una dispensa o di una precedente preparazione e quindi quale migliore declinazione se non questa?
Le polpettine di gambetto sono pertanto l'effettiva riabilitazione di ciò che invece impropriamente avremmo scartato nella preparazione di una zuppa cremosa decisamente più strutturata e ricercata.
Spero con questa operazione al di là della discutibile (per gusti intendo) declinazione di aver restituito come dire dignità al paradigma da fornelli tutto italiota che vuole le polpette sempre e solo loro ovviamente come simbolo della cucina del recupero e soprattutto dell'ingegno.

Polpettine di gambetto con crema di lenticchie rosse
Questa è la classica zuppa di lenticchie, la mia zuppa quella cioè che ho cucinato incrociando ricette, consigli ed indicazioni famigliari con l'aggiunta in questo caso di ulteriori piccoli accorgimenti.

Ingredienti per la zuppa cremosa
250 gr. di lenticchie rosse piccole (se da agricoltura biologica meglio);
1 gambo di sedano;
2 carote medio grandi;
2 cipolle di Tropea grandi o in alternativa due cipolle rosse dolci;
600 gr. di gambetto di SanDaniele;
2 cucchiai scarsi di concentrato di pomodoro;
2 filetti di alici in olio d'oliva di media grandezza;
Olio extravegine di oliva;
1 foglia di salvia fresca;
un rametto piccolissimo di rosmarino fresco;

Ingredienti aggiuntivi per le polpette
4 pugni di mollica bianca di pane a lievitazione naturale cotto a legna;
4-5 cucchiai pieni di Parmigiano Reggiano;
1 cucchiaio di olio extravegine di oliva;
1 tuorlo;
1 bicchiere di latte intero;
pan-grattato molto fine per la copertura;

Preparazione
In una pentola con fondo antiaderente faccio appassire in olio evo (max 2 cucchiai scarsi) una delle due cipolle tagliata piccolissima. Non appena diventa trasparente aggiungo le carote alla julienne, il sedano, anch'esso tagliato finissimo, cuocendo a fuoco basso e rigirando spesso con un mestolo di legno. Lascio andare per circa una 20' a fiamma lentissima facendo amalgamare il tutto.
A questo punto aggiungo 4-5 litri di acqua calda, i due cucchiai scarsi di concentrato di pomodoro, la foglia di salvia fresca, gli aghi di rosmarino ed il gambetto tagliato a pezzettoni ripulendolo delle parti di grasso in eccesso (in prarica questo è il lavoro più seccante e lungo se fatto bene).
Lascio quindi andare a fuoco lento per circa tre ore (senza coperchio) aggiungendo acqua in caso di eccessiva riduzione (alla fine devo ritrovarmi con almeno un litro e mezzo di liquido).
Al termine filtro il brodo tenendo da parte i trancetti di gambetto e le verdure.
Nel brodo caldo ottenuto quindi verso le lenticchie (messe in ammollo dalla sera precedente, scartando quelle che sono venute a galla durante la quiescenza) e le faccio cuocere a fiamma media per una altra oretta circa.
Considerate che le lenticchie rosse non hanno bisogno di ammollo il passaggio serve solo a fare in modo che durante la cottura si disfino velocemente senza prolungare la stessa inutilmente (considerato che solo per il brodo sono necessarie almeno tre ore...da qualche parte bisogna pur velocizzare).
Parallelamente in un ampia padella antiaderente faccio appassire l'altra cipolla di Tropea (tagliata anche questa piccolissima) in 4-5 cucchiai scarsi di olio evo. Quando è sufficientemente sfibrata aggiungo i 2 filetti di alici che ho incorporato quindi a fuoco dolce.
Quando queste ultime sono sufficientemente appassite verso il contenuto della padella nella zuppa e mescolo per una 10' per amalgamare correggendo eventualmente di sale. Spengo quindi la fiamma e passo tutto al mixer, filtrando a seguire la zuppa in un colino a maglie strette in modo da trattentere eventuali residui (molto esigui direi) di bucce.
L'assestamento successivo della zuppa è una fase fondamentale per far si che i differenti ingredienti si possano incorporare al meglio.
A questo punto usiamo il gambetto con le verdure avanzate passandole in un mixer con un cucchiaio di olio evo il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo e liscio ( ho eliminato gli aghi di rosmarino e la foglia di salvia).
Si lavora poi l'impasto con la mollica precedente ammollata nel latte e strizzata per bene, il parmigiano ed il tuorlo. Si corregge eventualmente di sale ma solo se il gambetto è di SanDaniele (molto dolce) altrimenti avete il problema contrario.
Si fanno delle palline con le mani e le se si passa leggermente nel pangrattato posizionandole in una teglia antiaderente precedentemente unta con olio evo.
Le polpettine ottenute si passano quindi in forno a 180° (statico e ripiano medio) per circa 30'.
Per l'assemblare il piatto date sfogo alla vostra fantasia quella cioè che non dimostro di avere io nella presentazione.
Va ulteriormente detto che la zuppa di per se trova il suo felice completamento in queste polpettine ribaltando al palato le aspettative. Infatti la leggerezza della crema fa presagire un sapore delicato, tutt'altro. La zuppa è il concentrato degli umori del gambetto, delle lenticchie e degli odori leggermente fritti quindi ha un sapore decisamente spesso. Le polpettine di gambetto invece pur risuonando all'orecchio rustiche nella loro composizione rivelano invece un sapore delicato che le rende davvero irresistibili e poco 'stufose'.
Il piatto devo dire è stato molto gradito ma ad onor del vero non occorre molta fantasia per intuirlo non tanto per bravura personale quanto per il tipo di ingredienti usati che difficilmente (con un pò di attenzione) hanno una resa mediocre al palato ;P